di Tommaso Cerno
GORIZIA. La bandiera slovena è stata ammainata assieme a quella italiana. La sbarra rossa, bianca e blu non si abbasserà mai più a dividere in due Gorizia. Sulla vecchia garitta dei doganieri della Casa rossa, dove si controllava la "prepusniza", il lasciapassare per varcare il confine con la Jugoslavia comunista, sventola da mezzanotte il simbolo dell'Unione europea. Il muro della «piccola Berlino» è caduto, diciotto anni dopo, abbattuto dai sindaci di Gorizia e Nuova Gorizia Ettore Romoli e Mirko Brulc. Adesso Gorizia e Nuova Gorizia sono di nuovo unite come sessant'anni fa, unica grande città bilingue, simbolo stesso dell'Europa che si allarga e crocevia di popoli e culture. È successo in una notte di stelle e di gelo, proprio come fu quel 9 novembre 1989 alla Porta di Brandeburgo, nella Germania divisa fra paura e speranza per il futuro. E come fu quel giorno in cui gli americani, nel 1947, tirarono la linea che lasciò in Jugoslavia i rioni di San Pietro e Salcano, da cui nacquero i grandi quartieri della "Nova Gorica" comunista. Ieri una folla ha circondato, con un grande girotondo, la Casa rossa. E quella che per sessant'anni è stata la barriera fra Est e Ovest è diventata a mezzanotte in punto il simbolo della riconciliazione. A centinaia attraversano a piedi la vecchia frontiera fra Italia e Slovenia e tornano indietro; giovani, anziani, famiglie, fidanzati che camminano mano nella mano sulle note della fanfara della milizia slovena sotto un cielo buio ma squarciato dai fuochi d'artificio che hanno festeggiato l'inizio della nuova epoca. Non c'è un motivo preciso, è solo l'emozione di poter passare liberamente. Un'emozione allargata a una dozzina di appassionati di auto storiche che guidano un corteo con in testa una Ferrari 308 rossa fiammante. Davvero come una piccola Berlino, Gorizia ha vissuto quel muro come una ferita rimasta sempre aperta e sanguinante. E che sotto la stella di un gigantesco albero di Natale, il primo addobbato insieme agli sloveni dalla Guerra Fredda, si richiude oggi nel cuore di una piazza Transalpina letteralmente affollata da migliaia di goriziani d'Italia e di Slovenia incuranti del freddo gelido che ha avvolto quello che un tempo era il confine. Sul palco c'è il sindaco di Gorizia Ettore Romoli, che guida una giunta di centro-destra. «La città torna al centro di quell'ampia area che la vide protagonista in passato - pronuncia lentamente - per essere porta verso l'est». È finita l'era delle frontiere, degli aiuti di Stato, della zona franca. Si apre quella della centralità, della collaborazione, dell'area di influenza verso i Balcani. Con Romoli c'è il "collega" Mirko Brulc, sindaco di Nuova Gorizia, che guida invece un governo di centro-sinistra. «Comincia una nuova epoca per i goriziani di entrambi i lati del confine - dice -. Sessant'anni fa questa linea divise, ma questa notte è stata restituita ai tempi in cui la sua popolazione era accomunata da una coscienza regionale comune». Insieme alla barriera confinaria, dunque, sta cadendo - più lentamente - anche la barriera psicologica. Serve però che la politica dia modo alla gente di crederci, con grandi progetti di collaborazione. La stretta di mano fra Romoli e Brulc suona, dunque, come una scommessa: turismo, strade, ospedali, attrattive finanziarie ed economiche, enogastronomia. Sul palco sale anche l'assessore regionale Roberto Antonaz di Rifondazione comunista, che porta i saluti del governatore Illy: «Cade uno degli ultimi confini del mondo», dice in tono solenne. Sullo sfondo della nuova era per Gorizia non si vede nessun carrarmato con la stella rossa titina, come fu nel 1991. Al valico di San Gabriele, la storica dogana che Prodi attraversò simbolicamente il 30 aprile 2004, quando la Slovenia entrò nell'Unione europea, il doganiere Stanko Pregelj si fa l'ultima nottataccia di ufficio. Pacchetto di sigarette in tasca, divisa blu in ordine, faccia impassibile come se fosse il primo giorno di lavoro. E come se ci fossero un bel po' di italiani da passare al controllo. E invece, in una stanza ingiallita del piano terreno, hanno sistemato una specie di confessionale da prete. Sì, perché nel giorno della caduta del muro di Gorizia i "furfanti" sono autorizzati a confessare - a garanzia di indulto transfrontaliero - tutto il contrabbando di cicche e di alcol sfuggito negli anni ai controlli delle due polizie di frontiera. C'è il tizio che si è portato le pecore vive nel bagagliaio, c'è quello che importava grappa camuffata da latte. E c'è quella che nascondeva il prosciutto affumicato nella sottoveste, raccontando poi ai doganieri di essere incinta. Ogni anno, per dieci anni. Ma c'è anche la storia di una famiglia distrutta dal comunismo. Un padre e un figlio divisi dalla Cortina di ferro si sono riabbracciati idealmente proprio a Gorizia, nella "no man's land", la terra di nessuno, dove il doganiere Stanko ammanina l'ultima bandiera. Ma se il confine di cemento e ferro è caduto, il confine psicologico, la linea invisibile fra comunismo e libertà, sarà più difficile da abbattere. E questo Gorizia ieri lo ha lasciato intendere bene. Adesso che a fare la benzina ci vengono sempre meno italiani, e che il Duty Free sembra un monumento al socialismo reale ormai sepolto dal business, adesso che lo Spritz senza ghiaccio come lì non te lo fanno nemmeno in Slovenia, dove l'Occidente è entrato a grandi passi da anni, quella garitta è un simbolo che i goriziani intendono digerire, ma lentamente. E così pochi clacson, pochi negozi aperti, pochi brindisi entusiasti nei viali del centro come Corso Italia. E così mentre sul lato sloveno era festa da stadio, la reazione del versante italiano è stata più composta. E tanta "discreta" partecipazione distante. Come a una messa dove si va, ma senza strafare, come a dire che «Gorizia supererà, ma non dimenticherà. Non facilmente». Perché quel muro maledetto, racconta nonna Anna al sindaco Romoli, non ha diviso solo la sua città, Gorizia da Nuova Gorizia, dove invece erano nati i suoi genitori e dove la sua famiglia aveva mantenuto casa e lavoro. Quel muro ha spezzato la sua vita. Con i contadini che si erano ritrovati la casa in Italia e i campi in Jugoslavia. E con i cimiteri divisi dalla linea Morgan, che imponeva il lasciapassare ai genitori per visitare le tombe dei loro figli. Una divisione innaturale, simboleggiata dalla stazione ferroviaria di Piazza della Transalpina. Da una parte del muro il treno che va, dall'altra i viaggiatori. Una cesura simbolica, che passava proprio sulla linea Transalpina che dall'inizio del secolo collegava la città di Gorizia con la Slovenia e con Vienna, unite sotto le insegne asburgiche del regno austro-ungarico. Ieri tutto questo è finito con un brindisi a mezzanotte alla Casa rossa. Gorizia è tornata unita nel cuore di un'Europa sempre più grande. (21 dicembre 2007)
venerdì 21 dicembre 2007
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